Obliviontango – la scuola

La scuola Obliviontango nasce nel 2010, a Colle di Val d’Elsa. Nome, logo e colore hanno piccole storie da raccontare.

Un nome evocativo, scelto per il legame viscerale con uno dei pezzi più noti di “El gato”, al secolo Astor Piazzolla, artista tanto noto quanto controverso che nella seconda metà del ’900 rivoluzionò ritmo, melodia e orchestrazione del tango con composizoni caratterizzate da innesti e fusioni spregiudicate, anche col jazz.

Entrato a far parte, nel 1984, della colonna sonora del film Enrico IV di Marco Bellocchio, Oblivion vede la luce nel 1982; pezzo di grande raffinatezza armonica ed eleganza caratterizzato da una melodia estremamente malinconica e coinvolgente.

Lento, dolcissimo a tratti struggente è un pezzo in cui il ritmo cadenzato del tango lascia spazio a una melodia lirica, intima e introspettiva.

Certamente uno dei lavori più ammalianti di Piazzolla, capace di racchiudere immediatezza e complessità, cambiamento e tradizone, armonia e contrasto, dolcezza e intensità e in quanto tale capace di rappresentare l’anima del tango, la sua essenza.

 

Il piccolo schizzo che rappresenta Obliviontango, l’incastro indistinguibile di due corpi che si stringono l’uno all’altro, è nato dalla mano di Giovanni. Oggi divenuto logo, è stato scarabocchiato una sera, su un pezzo di carta, dopo una lettura rivelatrice.

“Si dice che il tango sia un animale senza testa riferendosi a quello stato particolare di coscienza in cui non si pensa ma si ascolta solo la musica, lasciandosi guidare dall’istinto che questo animale a quattro gambe  (quelle dell’uomo e quelle della donna) possiede nel suo insieme” (Elisabetta Muraca, Il tango sentimento e filosofia di vita).

È la suggestione provocata da questa lettura a dare corpo all’indistinta percezione emotiva e sensoriale che Giovanni ha quando balla; ed è dopo un tango in cui a ogni passo, a ogni movimento, ritrova l’eco di quelle parole che disegna, crea, il pensiero di Obliviontango.

 

Anche il colore di Obliviontango, l’arancione, racconta una storia, sospesa tra leggenda, realtà e insolite coincidenze.

A torto o a ragione il colore che tradizionalmente viene associato al tango è il rosso, colore della passione per antonomasia.

In realtà, come continua a raccontarci  Elisabetta Muraca, quando nei primi del ’900, in forme più eleganti e stilizzate di quelle delle sue origini, il tango arriva nei salotti del vecchio continente si porta dietro una serie di fenomeni, di mode: “i caffè-tango, i tè-tango, i vestiti tango e il color-tango (l’arancione)”.

L’arancione.

È saltando al 2012 che abbiamo una sorprendente e inattesa conferma: la Pantone Color Institute, azienda statunitense che dal 2000 – ogni anno – individua il colore della stagione, ha decretato che il 2012 è l’anno del Pantone 17-1463, l’Arancio Tangerine Tango.

Ed è la definizione di Leatrice Eiseman, executive director dell’azienda, ad abbattere ogni resistenza: “Sofisticato ma al tempo stesso intenso e seducente è un tono arancio di grande profondità. Intenso e magnetico rimanda alle ombre luminose di un tramonto”.

L’arancione è il colore del nostro tango.

 

 

 

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